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Studio di ricerca finanziato da Carolina Zani Melanoma Foundation

L’ultimo decennio ha rappresentato un’era di rinascita nel panorama del trattamento medico del melanoma metastatico, con lo sviluppo di due strategie principali, la terapia target e l’immunoterapia. In particolare, la scoperta che il 40-50% dei pazienti affetti da melanoma presenta mutazioni nel gene BRAF, ha portato a identificare, per la prima volta, un bersaglio molecolare. Questa alterazione genetica è un driver importante nella patogenesi del melanoma, portando alla attivazione costitutiva della via MAPK, che sostiene la proliferazione delle cellule tumorali. Questa scoperta ha aperto la strada allo sviluppo di inibitori di BRAF (BRAFi) e MEK (MEKi), che sono uno dei trattamenti standard sia nella malattia avanzata che in quella radicalmente operata a rischio di recidiva. Mentre le risposte cliniche ai BRAFi e MEKi possono essere rilevanti e alcuni pazienti trattati con BRAFi /MEKi possono rimanere in remissione per anni, la durata mediana della risposta è di 11-13 mesi.

Per questo motivo, vi è un’intensa ricerca nell’identificare strategie terapeutiche alternative o complementari e per identificare i biomarcatori di resistenza. La selezione precisa dei pazienti è fondamentale per un uso ottimale dei BRAFi/MEKi. Le mutazioni BRAF possono essere rilevate nel tessuto di melanoma archiviato fissato in formalina e incluso in paraffina (FFPE); tuttavia, al momento non è chiaro se i tumori primari o le metastasi debbano essere analizzati a causa della possibilità di eterogeneità intertumorale. Non è inoltre chiaro se la frequenza allelica della variante BRAFV600 (VAF) delle mutazioni BRAFV600 sia correlata alla risposta a MAPKi e, soprattutto, all’esito del paziente, in termini di sopravvivenza libera da progressione e globale.

La potenziale correlazione la frequenza allelica della variante BRAFV600 e la prognosi dei pazienti trattati con BRAFi/MEKi è stata segnalata in studi precedenti con risultati controversi. Diversi fattori hanno influenzato questi risultati contrastanti, tra cui: piccola coorte di pazienti, valutazione di BRAF VAF sia nel tessuto del tumore primitivo che metastatico e il trattamento eterogeneo dei pazienti sia con BRAFi da solo che con BRAFi in combinazione con MEKi.

Sulla base di questa evidenza, abbiamo pianificato uno studio retrospettivo in 3 centri dell’Intergruppo melanoma italiano (IMI), con l’obiettivo principale di correlare VAF BRAFV600 con la risposta complessiva e l’esito dei pazienti con melanoma metastatico (MMP) ricevere MAPKi.

Complessivamente, nello studio sono stati inclusi 107 pazienti con melanoma in fase avanzata, BRAF mutati. La sopravvivenza libera da progressione e globale è risultata significativamente più breve nei pazienti con malattia più estesa, in quelli con VAF elevata e in quelli con un Performance status peggiore. L’amplificazione del gene BRAF è stata trovata rispettivamente nell’11% e nel 7% dei campioni nella coorte iniziale e di validazione.

I risultati clinici sono stati infine validati in una casistica indipendente e la correlazione tra frequenza allelica e amplificazione del gene BRAF sono stati validati anche su linee cellulari di melanoma.

I risultati del nostro lavoro hanno una rilevanza clinica in quanto identificano un fattore prognostico indipendente nei pazienti trattati con BRAFi e MEKi e suggeriscono che i pazienti con elevata frequenza allelica potrebbero giovarsi di terapie diverse e/o complementari ai BRAFi e MEKi al fine di migliorare la prognosi dei pazienti con melanoma BRAF mutato in fase avanzata.

Per leggere l’articolo completo, qui il link alla rivista.

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